In queste vacanze in Umbria non sono ammessi i musi lunghi e neanche la noia: qua verrà raccontato il trekking da una persona tutt’altro che magra.
Vacanze in Umbria: la mia esperienza
Queste vacanze in Umbria sono cominciate in maniera frenetica e con un leggero ritardo: siamo arrivati lunghi con la prenotazione delle vacanze, primo perché c’erano delle questioni famigliari che non capivamo quando e come risolvere e secondo perché quest’anno, oltre ad essere stati in un posto nuovo, abbiamo portato con noi la mia gatta, Coffee.
Questo ha complicato le cose.
Abbiamo cominciato a cercare una sistemazione per noi tre, ancora indecisi sulla destinazione da prendere (per non parlare del fatto che è stata dura capire come funzionava Booking, da anziani quali siamo). Il “caso” ha voluto che tra Trentino, Umbria e Marche, la scelta ricadesse sull’Umbria per diversi motivi, ma per uno in particolare: nell’appartamento in cui avremmo alloggiato, prendevano la gatta senza chiedermi un supplemento in più e senza chiedermi se fosse o meno un gatto da appartamento (tralasciando chi mi ha detto cani sì, gatti no).
Ora, io ovviamente ho cercato di prendere le precauzioni del caso, ma non sempre è così facile come si pensa, con gli animali, però quello che mi chiedo è questo: perché dite “Animali ammessi” quando poi non è evidentemente così?
Tralasciando questo dettaglio, l’appartamento in cui abbiamo alloggiato nelle vacanze in Umbria (il Vallegloria, che è bellissimo oltre ogni misura e ci siamo trovati benissimo, e ha anche una posizione non lontana dal centro) ha dei proprietari gentilissimi e disponibili, anche per chi, eventualmente, e qua non faccio nomi, si chiude fuori dall’appartamento.
Tornando a noi facciamo la prenotazione e partiamo per queste fantomatiche vacanze in Umbria: il navigatore ci diceva tre ore e mezzo di macchina, ma eravamo abbastanza positivi e tranquilli (non è vero, io ero preoccupata per la gatta, che era preoccupata del trasportino e della destinazione che avrebbe preso la sua vita).
Siamo arrivati in questo bellissimo resort (per chi non lo avesse capito, il Vallegloria, nel caso passiate per quella splendida signora che è l’Umbria) e ci siamo messi comodi.
Il lunedì, oltre a continuare a metterci comodi, abbiamo fatto due passi a Spello, località in cui alloggiavamo, ed è stato un colpo di fulmine: case in mattoni, fiori, porchetta, salite e discese, porchetta, panorama mozzafiato, salumi, scalini, tartufo, porchetta.
Non ci aspettavamo nulla del genere, così abbiamo passato il lunedì a girare Spello e poi siamo tornati in quel che era il nostro covo.
Il bello, però, arriva dal mattino dopo.
Torniamo un attimo indietro: prima di partire per l’Umbria, io e il mio compagno ci eravamo detti che nonostante grassi avremmo voluto fare trekking, per questo cercavamo un posto dove ci fossero delle montagne più o meno alte, così sono andata in libreria e ho ordinato un bellissimo libro sul trekking intitolato “Umbria a piedi”, ( di Luca Marcantonelli, Nicola Pezzotta e Stefano Properzi), ma lo abbiamo decisamente sottovalutato e ora capirete il perché (quando dico “librettostronzo” non intendo offendere nulla, nè la casa editrice, nè l’autore del libro, perché il libro è stato scritto molto bene).
In tutti i libri e i siti di trekking a fare gli articoli e a scrivere i percorsi sono sicuramente delle persone magre. Questo lo abbiamo capito perché nonostante in molti dei percorsi e sui siti ci fosse scritto “facilmente percorribile”, o “salita non troppo salita”, noi abbiamo fatto così fatica, che abbiamo fatto il resto del viaggio in silenzio (nemmeno questo è vero, io continuavo a parlare, per contrastare quel fiato che non avevo): tutto questo per dire che stavolta sarò io, una grassa, a scriverlo.
Quindi tutto, in realtà, è partito martedì, quando abbiamo preso la fatale decisione di andare alle cascate del Menotre: il libretto in questione, quel falsone del libretto, ci diceva che era facilmente percorribile e che in tre ore si sarebbe fatto tutto, così siamo arrivati nel piazzale giusto (forse sì o forse no) e abbiamo cominciato a camminare sempre in salita, e se c’era una discesa, stai pur certo che prima o poi si cambiava pendenza.
Tralasciando il fatto che siamo due persone di dubbia attenzione (pensavamo fosse un anello e che quindi per arrivare alle cascate, dovessimo anche vedere l’Eremo, ma non è stato così, perché da quelle scalinate ripidissime, e ripeto ripidissime, siamo anche dovuti scendere e sul librettostronzo c’era scritto), una volta imboccato il sentiero giusto, dopo essere scesi dall’Eremo, io sono andata nel panico: l’acqua stava finendo, io mi stavo bruciando e il caldo non aiutava (per la precisione 40°). Dopo essermi un attimo ripresa, il mio compagno ha avuto la geniale idea di farmi vedere dove saremmo dovuti arrivare e ho cominciato a pensare che non ce l’avremmo mai fatta. Insomma, un passo dietro l’altro in maniera molto lenta e fermandoci ad ogni ombra, ci siamo fatti forza e siamo tornati al paese di Pale, da cui eravamo partiti (mi ricordo così bene questi nomi, che non devo nemmeno guardare su quel libretto fasullo) e una volta lì ci siamo presi tre bottigliette d’acqua, un succo e una coca (sì, avevamo finito l’acqua).
Tutto questo per dirvi che se sto scrivendo, sono tornata dalle vacanze in Umbria, ancora viva e ce l’ho fatta, che le cascate, soprattutto una in verità, erano bellissime, ma che percorsi del genere non fanno evidentemente per noi, non ancora almeno: soddisfatta sì, ma più consapevole dei miei limiti fisici.
Ma non è finita qua, perché non siamo mica andati in vacanza, come ha detto il mio compagno, ma a fare i turisti.
Il mercoledì seguente a quella giornata devastante abbiamo deciso, che sono assolutamente da vedere, di andare alle cascate delle Marmore (foto in evidenza), che sembra una specie di Mirabilandia, ma fatto dalla natura: ci sono vari percorsi che si possono fare, è consigliato prenotare, soprattutto se si desidera una guida, e se non siete avvezzi all’acqua, prendete o acquistate un k-way.
Quel giorno faceva talmente caldo, che sarei rimasta davanti all’acqua in eterno, peccato che c’era una marea di gente e la fila doveva scorrere, ma è stato tutto così bello da far tremare i sensi (chiaramente lì ci ero andata preparata: cremina solare e cappellino a portata di mano. Ovviamente sono inciampata per ben due volte).
Ecco, le risate, però, arrivano giovedì, decisi ad andare alle ex ferrovie di Spoleto – Norcia.
Ah, che risate.
Ci spostiamo con la macchina, il librettostronzo diceva che dovevamo raggiungere un piazzale (in realtà era piuttosto chiaro, ma il mio compagno insisteva che non era quello): così arriviamo, avvistiamo un numero spropositato di piazzali e parcheggiamo in uno (che era quello giusto), poi non so bene perché interpretiamo a nostro modo il percorso e decidiamo di cambiare piazzale (per ben due volte).
Terzo piazzale raggiunto, scendiamo, ci prepariamo, poi avvistiamo uno tra i miliardi di sentieri che c’erano lì e lo prendiamo: errore numero uno.
Torniamo indietro, attraversiamo la strada e rimaniamo lì per circa un quarto d’ora a cercare di capire quale fosse il benedetto sentiero e poi, stremati dal troppo pensare, ci fermiamo in un bar a prendere il caffè e chiediamo informazioni: “Buongiorno. Scusi, ma è quello il sentiero per le ferrovie Spoleto – Norcia?”.
Il barista bofonchia qualcosa che pareva un sì e per non sembrare due persone di dubbia attenzione, quali siamo, ci siamo fatti andare bene quella risposta e siamo ripartiti.
Abbiamo fatto tanta strada, pari sì, ma tanta strada, tra macchine che passavano, borghi visti in lontananza e distese di campi infiniti, che ci siamo detti che forse non eravamo sulla strada giusta, ma abbiamo continuato ad andare avanti.
E avanti.
E avanti.
E avanti, finché non abbiamo incontrato una famiglia e abbiamo chiesto a loro, giusto per essere sicuri che fosse il percorso corretto: “Scusate, ma per le ex ferrovie Spoleto – Norcia sempre di qua?”.
Loro ci hanno guardato, hanno pensato non so bene cosa, ma posso immaginarlo, e hanno risposto: “No, ragazzi, per le ferrovie dall’altra parte. Avete sbagliato proprio direzione”.
Abbiamo ringraziato, tirato giù qualche santo, ci siamo fatti una risata e siamo tornati indietro: stavolta avevamo preso abbastanza acqua, ma non abbastanza sale in zucca.
Una volta tornati indietro abbiamo fatto quello che un vero trekker non fa mai: era la mezza, la gatta era a casa da sola e noi stanchi di sbagliare sentiero, quindi siamo letteralmente tornati indietro, a Spello (volevamo passarci in macchina, alle ferrovie, ma alla fine era tutto chiuso, quindi ci abbiamo rinunciato).
Lo so, lo so, non si fa, ma quel giorno eravamo stanchi: credo che le cascate del Menotre ci abbiano influenzato per tutta la durata del viaggio.
Venerdì, dopo una settimana che mangiavamo in casa (a parte i panini con la porchette e la crescia con la mortadella e il salame di cinghiale), abbiamo deciso di passare l’ultimo giorno, pranzo e cena, al ristorante (il ristorante in cui eravamo andati a pranzo, “Le mandrie di San Paolo”, è stato spettacolare, un po’ in salita, ma bellissimo e qualitativamente parlando ineccepibile; mentre alla sera siamo andati in un ristorante a Spello, “Il Pinturicchio”, buono, ma ho preferito il primo). Ma prima di andare a scofanarci, cosa possiamo fare?
Navigatore e via, partiamo verso Assisi, per vedere la Basilica di San Francesco d’Assisi. Facciamo colazione in tutta calma, come d’altronde è nostro solito fare, con estrema calma, e dopo un quarto d’ora di viaggio, arriviamo ad Assisi, non molto distante da noi. Ci inoltriamo per le sue strade piene di traffico e pensiamo “Non abbiamo fretta, dai”, e ci mettiamo a nostra volta in fila, perché la Basilica è da vedere per forza.
La sorpresa è stata che non solo c’era traffico, ma era così piena la Basilica, che i parcheggi erano colmi fino all’estremo e chiusi.
Quindi la rifaccio: navigatore e via, alla volta delle Gole di Stifone!
Anche qua, per raggiungerle, salite e discese non da poco, ma ne è valsa la pena: ci si è parso davanti uno spettacolo così colorato e pieno di storia, che ci siamo rimasti e abbiamo scattato tantissime foto.
In mezzo a questo disastro che siamo stati in queste vacanze in Umbria, come sempre, abbiamo fatto una visitina veloce anche al lago di Piediluco.
La gatta, per chi se lo stesse chiedendo, è stata meglio di noi, anche se ogni tanto protestava: ora è qui davanti a me, che mi chiede se per caso è avanzato quel tonnetto di ieri che le piace tanto.
Il sabato mattina siamo dovuti ripartire da quella elegantissima e intima Umbria: avremmo voluto vedere molto di più, infatti la nostra lista era molto più lunga, ma non ci siamo riusciti, vuoi perché pigri o per la scarsa settimana in cui ci siamo fermati.
L’Umbria è stata per noi motivo di soddisfazione, ma anche di sconfitta: ci ha portati a volerli superare più spesso, quei limiti in cui, solitamente, tendiamo a nasconderci.
Conclusione
Cosa ho imparato da queste vacanze in Umbria?
Non sottovalutare mai i libri, intanto.
Ho imparato ad amare ancora di più il trekking, piano o in pendenza che sia.
Ho imparato ad amare i fiori, per riempirci le vie dei miei ricordi.
Ho imparato a ridere anche nei momenti di sconforto.
Ho imparato a lasciarmi andare nelle discese e puntare i rampini nella salita, come nella vita.
Ho imparato ad amare gli accenti, i dialetti.
Ma soprattutto abbiamo imparato ad amare l’italia, che ci ricorda sempre che “casa”, può essere dovunque.