Recensioni (a modo mio)

Sex work is work – Giulia Zollino

Come dice lo stesso titolo, in “Sex work is work” si parla del lavoro sessuale come un lavoro vero e proprio, con i suoi pro e i suoi contro, e Giulia Zollino è riuscita a parlarne in maniera esaustiva.

Il saggio: Sex work is work

“Sex work is work” è un saggio di Giulia Zollino, edito dalla Eris Edizioni, che tratta del lavoro sessuale su larga fascia: dai diritti, alle testimonianze; dalle rivoluzioni, all’emarginazione che la sex worker, come persona, è costretta a subire. 

Giulia Zollino, in “Sex work is work” si sfoga e catapulta la propria opinione sul lettore, facendolo risalire a una comprensione umana, senza distinzioni, ricordando che il sex work non solo viene fatto perché si è obbligati, o per piacere, ma anche perché è un lavoro come un altro.

“Sex work is work” pensavo fosse un concentrato di informazioni, come lo fu “Post Porno” di Fluida Wolf, invece si è presentato più come una testimonianza, personale e non, e questo non mi è dispiaciuto affatto (a tratti anche informativo). 

Scrittura chiara e inclusiva, mai dispersiva. 

L’autrice di “Sex work is work” entra a gambe tese dentro un argomento che in Italia viene affrontato pochissimo, ma ci entra e ci fa sapere che è lì, ad attendere che noi ci alziamo e ci svegliamo da un sonno durato fin troppo a lungo. 

L’autrice: Giulia Zollino

Giulia Zollino nel 2012 va via da un paesino bigotto del Veneto, per studiare Antropologia a Bologna, e diventa educatrice sessuale, antropologa, operatrice di strada e cura la divulgazione sui suoi canali social (Instagram), sulle varie sfaccettature del sex work.

“Sex work is work” è il suo primo libro. 

I personaggi

In “Sex work is work” i personaggi principali sono le/i sex workers, da come si sarà potuto evincere, e l’antagonista per eccellenza è lo stigma, che si impadronisce di tutto e di tutti, senza mai esitare un attimo. 

I personaggi principali ne “Sex work is work”, in realtà non sono solo le persone che fanno un lavoro sessuali, ma tutti coloro che lottano contro lo stigma, contro l’emarginazione, contro le discriminazioni, contro la società. 

Sex work is work: la mia opinione

Il sex work, in Italia, è qualcosa che viene affrontato ancora poco. In realtà, questo succede con la sessualità in generale: scarsa educazione scolastica, scarsa informazione, ecc. 

L’italiano medio tende a pensare di sapere tutto, sulla sessualità: dai feticismi (per loro esiste solo quello dei piedi), alle pratiche più estreme (la sculacciata si e no, quando devono); dalla passione nel fare sesso (l’italiano è considerato uno degli amanti più passionali, quindi si sentono in dovere di mantenere alto l’onore, ovviamente fallendo), al ritrovamento, fasullo, del punto G. 

Questo avviene con un certo livello di autocompiacenza, senza il quale sei semplicemente uno sfigato. 

Per questo, e per altri mille motivi, il sex work è ancora considerato qualcosa di emarginato e discriminato: se fai sesso con una prostituta a pagamento, vuol dire che nessuna persona ti vuole, quindi sei uno sfigato; se ti appelli a delle persone per guardare del sesso online e in diretta sei uno sfigato, esistono tanti siti internet in cui poter guardare del porno, magari messo su quelle piattaforme senza un vero e proprio consenso (ne parlo nella recensione a Post Porno); lo stesso vale per le persone che acquistano materiale (video, foto dei piedi, mutandine usate) online: sono delle sfigate. 

Ecco che si arriva al capolinea: in un modo o nell’altro, qualsiasi cosa tu faccia nella tua miserabile vita, sarai sempre lo sfigato di turno. Non c’è via di scampo. 

Non se ne parla abbastanza, non se ne discute, si fa come se nemmeno esistesse, il mondo del sex work, come il mondo del BDSM, come il mondo LGBTQ+, e così via: invece esistono e si stanno, negli anni, colorando di una voce propria molto più forte di quella della società. E non parlandone, non ci saranno mai tutele sulle sex workers, non ci sarà mai informazione, non ci sarà mai rispetto. 

Basti pensare che dal 1500 vennero smantellati molti bordelli, a causa della sifilide, perché si pensa sempre che siano i lati del mondo, a contaminare la popolazione per bene: vi svelo un segreto, i peggiori untori sono coloro che si nascondono dietro la facciata da perbenisti e “Sex work is work” ne parla. Parla di emarginazione, di rivalsa, di conquiste, di lotte, al disperato raggiungimento di un equilibrio, che schiaffeggi la società patriarcale e cancelli le discriminazione più becere. 

Giulia Zollino, in “Sex work is work”, ci fa notare anche un’altra cosa, a cui molta della popolazione italiana non ha pensato: le lavoratrici sessuali non si dividono, come dice lei, solo in due categorie, cioè tra coloro che lo fanno perché costrette e tra coloro che lo fanno per piacere, ma ne aggiunge una: coloro che lo fanno perché lo vedono esattamente come un lavoro. 

Normalizziamola questa cosa: il lavoro sessuale è un lavoro, esattamente come fare la commessa, esattamente come fare la lavandaia ed esattamente come fare la cameriera. 

E normalizziamo anche parole come “puttana” e “pompinara”, perché più le si normalizzano, più nessuno potrà mai più ferire o denigrare, marchiare a fuoco o catalogare, con queste parole che vengono usate con fare dispregiativo.  

Dal 2 giugno del 1975 si celebra la festa del sex work e delle sex workers: ecco, non rendiamola economicamente importante, celebrandola solo quel giorno, ma personalmente essenziale, masturbandoci con loro, per loro, insieme a loro tutti i cazzo di giorni. 

Conclusione

“Sex work is work” è una testimonianza che arriva come un treno in corsa e cazzo, noi discriminati, non ci fermeremo alla prima stazione di sosta.