Io son cresciuta a Correggio, in un piccolo paesino della provincia di Reggio Emilia e ho capito che nonostante si passi una vita a girare il mondo, in cerca di sé stessi, in cerca dell’amore, in cerca di ogni cosa che possa essere rivoluzionaria, per la nostra persona, alla fine si torna sempre al mercato del mercoledì. Si torna sempre a casa.
Un mercato caratteristico.
Il mercato del mercoledì è questo: la folla, il caldo, la ricerca di una mano sconosciuta, gli spintoni, le manciate di frutta, rette da mani sapienti, in procinto di essere mangiate e le voci, con toni variabili, che si protendono a volumi eccessivi, smarrendosi in un cielo limpido; sono le signore davanti al banco della verdura, che si cimentano, con presa di posizione, in colossi imprenditoriali, contrattandone la vendita; sono i signori che, come i bambini, vorrebbero solo tornarsene a casa, davanti ai loro televisori, oppure trovare qualcuno con cui fare “comunella” e perdersi, mentre la moglie, o la mamma, arrivano ad una decisione. Ed è ancora il musicista di strada, i bar affollati, le mamme con le carrozzine, i sassi grandi e fastidiosi, la famiglia di tabaccai sotto i portici, con i nomi che iniziano tutti con la lettera C, ma anche la vista dal basso dei bambini e dei cani, gli adulti che ridono, che chiacchierano e si dimenano, nell’intento di spiegarsi, e l’odore forte e persistente del pollo arrosto.
Il mercato del mercoledì mi ricorda tutte le volte che, in salute ed in “malattia”, mia mamma e mia nonna mi costringevano ad andarci, trascinandomi fuori di casa, nonostante fossi evidentemente contrariata.
Mi ricorda i momenti di attesa abissale, di musi lunghi e di “Io sono grande, potevo anche stare a casa da sola”. Come gli attimi, durati ore, che caratterizzavano il “fare la spesa”: mi ricordo che da quando venni presa in giro, da un mio compagno delle elementari, per quanta roba avevamo nel nostro carrello, mi ci misi con più impegno, a puntare i piedi, per rimanere a casa.
Ecco, andare a fare la spesa ed andare al mercato, per me, erano la medesima cosa: tra uno scaffale, o un banco, e l’altro, mi mascheravo con espressioni facciali più gravi, per comunicare che sì, ero arrabbiata; ma me ne accorgo soltanto adesso quanto tutto questo mi manchi: quanto mi manchi il tempo passato a girovagare con le mie donne preferite, con una fila di gente a sottolineare quanto fossi uguale a mia madre; quanto mi manchi la frase “Per oggi, va bene il pollo arrosto?”; quanto mi manchi il sole cocente, a scioglierti anche il tallone; quanto mi manchi assaporare la frutta, senza acquistarla; quanto mi manchi cercare vestiti adatti alla mia figura, in un continuo allargarli per larghezza; quanto mi manchi, insomma, la semplicità di un mercoledì al mercato, perché è di cose semplici come queste, di cui dovremmo aver bisogno, per assaporarne le sfumature, come un whisky invecchiato, quando sono lì, proprio per noi, ad attenderci in mezzo alla folla.
Conclusioni.
Non dimenticatevi mai, e dico mai, del sapore che ha il pane caldo o dell’odore di pini marittimi; dell’odore della lacca che portava sui capelli qualcuno di caro o della vista di una casa, un ristorante, una strada familiare. Non dimenticatevi mai del mercato del mercoledì e delle sensazioni che provavate, o sentivate, passandoci in mezzo. Non dimenticatevi mai di queste cose, sono banalità semplicemente essenziali, che disegnano i nostri contorni, rendendoci unici.