“Il corpo in cui sono nata” è la storia di una donna forte, che ha sicuramente molto da insegnarci.
La trama – Il corpo in cui sono nata
Ne “Il corpo in cui sono nata” Guadalupe Nettel racconta la sua vita nel corpo in cui è nata e in quello in cui deve crescere, con un piccolo problema alla nascita: un neo bianco sulla cornea.
Ecco che Guadalupe cresce in un mondo ovattato, ma reale, concreto.
Si fa strada con i genitori in una relazione aperta, nel Messico degli anni Settanta.
Con l’arrivo degli anni Ottanta la famiglia precipita: la madre si trasferisce in Francia, il padre sparisce e la nonna, bigotta vecchio stampo, si prenderà cura di Guadalupe e del fratello.
Lei da sempre si raffigura nello scarafaggio di Kafka e da sempre lotta con il suo corpo, fino a volerne prendere consapevolezza.
“Il corpo in cui sono nata” racconta la storia di tutti.
Recensione – Il corpo in cui sono nata
Partiamo dal presupposto che Guadalupe Nettel ne “Il corpo in cui sono nata” scardina anche gli infissi più resistenti: ha una scrittura ritmata, danzante, dolce, sinuosa.
Questo libro è un’autobiografia, ma Guadalupe Nettel si narra mentre parla alla sua psicologa in un discorso sempre abbastanza riflessivo e indiretto, ma mai mediocre, insipido.
Questo mi porta a voler acquistare anche “La figlia unica”, perché in circostanze diverse, probabilmente sarebbe stato un libro pesante, gravoso, ma la scrittrice è riuscita a renderlo pressoché raro, quindi decisamente un punto a suo favore.
Detto ciò, “Il corpo in cui sono nata” racconta un po’ la storia di tutti, quella in cui si lotta per il fisico in cui dobbiamo “abitare”, senza ragion di scelta, ma nel quale possiamo scegliere consapevolmente di vivere.
In questo libro si parla dell’accettazione di sé, che abbraccia la nostra esistenza e che ci porta fino in fondo alla nostra strada.
Ma non si parla solo di questo, perché affronta altri argomenti altrettanto complessi.
Il contenitore offre l’accettazione, ma all’interno ci sono i retaggi culturali che la nonna di Guadalupe cerca di inculcare nei nipoti; la libertà sessuale che i genitori inizialmente hanno, aprendosi ai figli, senza nessun tipo di tabù o di remore, ma con cui dovranno fare i conti più in là con gli anni; l’autoerotismo della stessa scrittrice, che cresce con insegnamenti liberi, ma a volte fuorvianti; e ancora, parla del suicidio, delle varie e differenti culture in cui si ritrova, di una vita turbolenta.
Insomma, tutti argomenti che sicuramente non sono affatto malleabili come si pensa.
I personaggi della vita di Guadalupe sono senza ombra di dubbio forti, compresa la stessa scrittrice, che cerca di venire a capo di un rompicapo senza precedenti: la vita.
Ed è proprio della vita di cui Guadalupe Nettel, ne “Il corpo in cui sono nata”, parlerà: in particolar modo dell’infanzia, che spoglierà e svelerà per quel che è davvero: una continua imposizione, una continua decisione presa da altri. E seppur ne parli lei, è per tutti così.
Guadalupe Nettel ha avuto una vita piena, che ne “Il corpo in cui sono nata” ci ha lasciato abbracciare in maniera piena.
Conclusione
“Il corpo in cui sono nata” è il corpo in cui siamo nati tutti: amiamolo.