Questa sarà l’intervista di una persona che vuole raccontare chi è, tra bullismo, discriminazioni, abusi e la sensualità del suo lavoro di fotomodella: Sara Mellano, detta Draghettona.
Intervista: tra il bullismo e una fotografia
1. Cosa ti ha dato la spinta giusta per cominciare a posare?
Iniziamo col dire che sì, lo confermo, il mio lavoro di modeling e il bullismo che ho subito sono collegati in maniera così stretta da sembrare un abbraccio (ne parlerò meglio più in là).
Quando ci si sente dire certe cose, alle medie, può essere che in seguito le si assimili passando l’intera adolescenza a sentirsi brutt*, talmente brutt* da credere di poter sedurre una persona solamente con la propria intelligenza e simpatia (infatti leggevo moltissimo, oltre che per una curiosità personale, anche per poter parlare meglio con gli altri).
La mia identità si era completamente decostruita, a causa del bullismo, e cercavo di mettere insieme i cocci come potevo e sapevo fare, finché un giorno, durante uno scambio culturale a Salisburgo, un ragazzo del gruppetto che studiava da parrucchiere, decise di acconciare e truccare tutte le ragazze, me compresa, per fare una semplice passeggiata.
Quel giorno ho avuto una vera e propria rivelazione: scoprii che non ero poi così brutta come avevo creduto fino a quel momento. In sostanza ebbi un colpo di fulmine con me stessa: mi osservavo riflessa in tutte le vetrine e mi piacevo. Ricordo la felicità che mi ruotava intorno: eravamo finiti, per puro caso, nel bel mezzo di un matrimonio tra due ragazze lesbiche e mi sentivo in sintonia col mondo, seduta sul prato, in mezzo ai fiori.
Cosa successe? Il giorno dopo struccata e con l’acconciatura di sempre, mi resi conto che era tutto diverso, come se fossi stata me stessa solamente il pomeriggio precedente.
Volevo capire in tutti i modi come replicare ciò che era successo; volevo capire cosa, di me, potesse ricreare quella magia.
All’epoca erano in voga le macchine fotografiche compatte e mia madre me ne comprò una rosa shocking: iniziai a usarla su me stessa, perché trovavo molto più facile osservarmi tramite una fotografia, piuttosto che allo specchio, e ciò che vidi mi piacque talmente tanto, che volli mostrarlo anche agli altri, pubblicando i miei selfie ovunque, anche in topless, perché determinata a voler guardare me stessa non solo attraverso i miei occhi (durante i primi anni mettevo tutti sullo stesso piano, ora mi sento principalmente mia).
Nel frattempo osservavo molto le altre donne, come le cantanti nei videoclip o persone più vicine, tra cui la mia migliore amica, che si faceva spesso scattare fotografie gotiche dal fidanzato, con abiti e location evocativi, da cui presi ispirazione, e mia madre, che pubblicava ovunque immagini di Pin-up, da cui presi la gioia che mi trasmetteva quello stile e a tutti questi aspetti si unì la recitazione teatrale (in quegli anni partecipai anche a dei corsi di teatro).
Il primo “servizio fotografico” lo feci in stile gotico con una coetanea che giocava a fare l’artista.
In seguito, mi misi a intraprendere “storie in posa” (la hippy, la senzatetto, ecc), insieme a mia sorella, che mi faceva da fotografa.
Poi, finalmente, conobbi una modella e senza peli sulla lingua le dissi che avrei voluto farlo anche io e lei mi consigliò un sito che ora non esiste più, in cui ci si poteva proporre come soggetto.
2. Cos’è per te il body shaming?
Il body-shaming è quando si vuole far vergognare una persona per il proprio corpo, perché agli occhi di chi lo guarda non va bene, con atti di bullismo, discriminazioni, abusi, e questo mi fa andare fuori di testa, sia che siano gesti di grandi proporzioni, sia che siano gesti più subdoli.
Per esempio quando parlano di “salute”, perché non hanno il coraggio di dire che ce l’hanno con l’estetica non conforme.
3. Sei stata vittima di bullismo? Ti capita ancora?
Sì, sono stata vittima di bullismo alle medie: mi prendevano in giro in gruppo, mi chiamavano “Moby Dick, la balena bianca” (che mi sono tatuata sul polpaccio in simbolo di rivalsa), oppure chi non ce l’aveva con la mia taglia mi diceva che “se non avessi avuto questo brutto profilo, sarei stata una bella ragazza”.
Ho smesso da pochi anni di sentirmi a disagio vicino ai gruppetti di ragazzi che avrebbero potuto ridere di me, perché ho capito che era una cosa assurda che potessero farmi paura, senza neanche conoscermi.
A questo proposito non sono stati d’aiuto nemmeno i vari “Dimagrisci, così non ti prendono più in giro”, oppure “Ma si dai, ignorali” dei grandi che avrebbero dovuto aiutarmi.
È stato l’intervento dell’unica persona che si sia mai interessata a me: la professoressa che fece il tombino a tutta la classe, dicendo che io, e tutte le altre persone, meritavamo rispetto.
Ecco perché bisogna prendere posizione sempre, non immaginate quanto bene potreste fare.
In seguito sì, ho subito altri episodi di bullismo, anche sul lavoro.
Ho letto recentemente che chi subisce bullismo, o altro, è come se lo portasse scritto addosso, in una sorta di atteggiamento inconscio, spingendo gli altri a fartelo subire ancora. Ho trovato molto interessante questa teoria, e mi ha fatta sentire meglio: ho compreso finalmente il perché di queste dinamiche.
4. I fotografi ti hanno mai offesa, mentre eri su un set?
Sì, sono capitati diversi episodi di bullismo anche con i fotografi, che hanno elencato i difetti del mio fisico o mi hanno detto di dimagrire o di fare palestra, come se fossi una bambola da acconciare a piacere, e non una persona.
5. Hai mai subito abusi, o hai mai sentito di fotografi/e che abusavano del/della fotomodello/a?
Un fotografo mi toccò un capezzolo e un altro mi toccò il sedere; un altro ancora mi chiese se potesse rimanere a guardare mentre mi cambiavo.
Sentii di una ragazza violentata durante delle foto in cui era legata e questo mi destabilizzò.
Perché tanto siamo esibizioniste e quindi ci piace, giusto?
6. Essendo in un mondo bigotto, a me capita di essere giudicata anche solo per tre tatuaggi. A te capita mai di essere giudicata per i tatuaggi?
Sì, mi capita spessissimo di essere giudicata per i tatuaggi: nel supermercato Lidl del mio paesello capitava che controllassero se avessi altre borse, cosa che agli altri non facevano, finché un giorno tirai su un polverone e smisero.
Una volta una signora se ne andò via insultandomi perché, a suo dire, mentre guardavo il telefono mi ero avvicinata troppo a lei e al Bancomat.
La cosa che mi capita più spesso è la gente che mi fa la morale sul fatto che sicuramente me ne pentirò, e mi supplica di non farne altri, gente che, magari, a malapena conosco.
7. Una femminista che lotta per una realtà senza bullismo, abusi, senza sottomissioni, ma che cosa vuol dire essere femminista, nella nostra epoca?
Nella nostra epoca essere femminista è la base di un individuo con buonsenso umano.
Ormai non possiamo più andare avanti senza la convinzione che debba esserci la parità dei sessi.
Essere femminista nella nostra epoca significa che devi anche essere “intersezionale”, cioè occuparti delle ingiustizie verso tutt*, discriminazioni verso altre etnie, verso i disabili, verso le persone non cisgender, verso le persone non eterosessuali, perché l’ingiustizia è come un filo da tirare via: non puoi pensare di dare solamente un piccolo strattone… devi farlo strisciare tutto e gettarlo nell’immondizia!
Essere femminista significa che vieni ancora, in molti contesti, ridicolizzat* e trattat* da persona isterica, che vuole creare polemica sul nulla.
8. Come funzionano i set? Ti contattato i fotografi/e, oppure sei tu a contattare loro?
In genere sono i fotografi a contattarmi, utilizzando i social, che sono il mio canale prediletto.
Mi spiegano che cosa intendono fare con me, e io scelgo la risposta da dare.
Le cose si svolgono a seconda della personalità di chi mi contatta, per esempio c’è il fotografo che vuole decidere ogni cosa per filo e per segno giorni prima del set, oppure chi dice: “Mi fido di te, scegli tu come vuoi impostare il lavoro!”.
9. Quando hai cominciato a far nudo?
Ho cominciato a far nudo già dai miei primi selfie, quelli di cui parlavo prima: i semplici topless, all’inizio. Non ho mai messo in dubbio che, per me, essere con o senza vestiti fosse esattamente la stessa cosa.
10. Come ti senti, quando sei nuda davanti all’obiettivo?
Mi sento esattamente come se fossi vestita del mio capo più bello.
Ultimamente, addentrandomi meglio nel mondo del body-positive, mi sento, denudandomi, come se aiutassi altre donne a essere se stesse, come se dicessi: “Ragazz*, il mio corpo esiste, ed è bellissimo. E i vostri pure!”.
11. Ci son persone che dato che fai nudo e che ci lavori, col tuo corpo, pensano di avere diritti su di esso. Ti è mai capitato? Cosa vorresti dire, a loro?
Sì, è capitato. A loro non vorrei dire nulla, perché gliene dico già parecchie in faccia. Hanno decisamente preso un abbaglio, perché sono una persona e come tale vado rispettata.
12. Mostrarti completamente nuda, che cambiamento ha portato, in te?
Non saprei dire, perché, come dicevo prima, il mio esibizionismo “nudo” è subito partito di pari passo con quello “vestito”. Ho sempre avuto un rapporto sereno con la nudità, e il fatto che, se poso per fotografie, lo posso anche fare da nuda, per me è la naturale conseguenza di questo fatto.
Forse lo considero positivo perché posso “sbattere in faccia” più facilmente, a tutti quanti, la mia estetica non conforme, mostrando che sono meritevole di esistere anche io.
In ogni caso ho una passione per le fotografie di nudo (oltre che per quelle in cui l* modell* è vestit*) perché mi sa di intimo e liberatorio, indipendentemente dagli atteggiamenti più o meno erotizzati.
13. Cosa pensi di chi lavora col proprio corpo? Delle donne e degli uomini che lottano per l’accettazione e la voglia di urlare per un erotismo diverso?
Sono una persona che lavora col proprio corpo, quindi vedo gl* altr* come compagn* e collegh*, anche se le mansioni sono differenti. Penso che dovremmo subire meno stigma sociale, meno bullismo, meno discriminazioni e abusi, e avere più libertà di svolgere le nostre professioni e più giustizia a livello legale, anche se le cose stanno piano piano cambiando.
Riguardo all’accettazione dell’erotismo differente (o anche presente in maniera meno preponderante rispetto agli altri o assente, come nel vissuto delle persone dello spettro asessuale) penso che sia doveroso, in quanto si ha ancora un’idea del sesso terribilmente stereotipata, che fa soffrire le persone e le fa sentire inadeguate.
14. Come mai il nome Draghettona?
Quando ero un’adolescente che si credeva brutta, chattavo su MSN con un ragazzo bellissimo, che un giorno mi chiese di mostrarmi e a cui risposi: <<Sono troppo brutta per farmi delle foto!>>
E lui mi rispose: <<Ma come? Mi hai detto che ti piacciono i draghi e che sei tettona, quindi sei una DRAGHETTONA! Non puoi essere brutta!>>
<<Una… che?!>>
<<Una Dragh(t) ettona. Una draghetta, tettona!>>
Per me è un ricordo di quel periodo, e un simbolo di rivalsa.
15. Hai difficoltà a trovare partner che ti diano la possibilità di essere te stessa? Perché so bene cosa si prova a posare e cosa vorrebbe dire rinunciare ad una cosa così importante: ci si toglie un pezzo di sé.
In realtà la mia particolarità più grande non è quella di essere esibizionista, ma quella di esserlo prevalentemente in rete, e di essere molto semplice nella vita di tutti i giorni.
In certe giornate provo addirittura disinteresse nel risultare bella, ho dei modi semplici e poco seduttivi.
Ovviamente, a volte sono esibizionista anche nel mondo reale, ma a volte, invece, sono goffa e timida.
Nel sesso mi capita di essere forse più una che “guarda” rispetto a una che “mostra”, ecco.
Diciamo che è difficile da far accettare, perché la gente può concepire magari una persona totalmente esibizionista, oppure con atteggiamenti che non sono seduttivi in toto, mentre io sono entrambe, quindi capita che mi vogliano forzare in un senso o nell’altro.
Comunque mi sono capitati anche episodi di gelosia morbosa, o di sfruttamento del mio corpo per avere qualche orgasmo, perché tanto io sono “quella facile”.
16. Cosa diresti ai tuoi bulli personali? Ai mostri che per anni ti hanno tormentata?
Che se proprio non vogliono andarsene, che lo dicano che ci mettiamo a giocare a UNO, per passare il tempo.