Come vi avevo promesso ho scritto una lettera a Venezia, perché non voglio tralasciare le città che ho visitato e girato come se fossero qualcosa di essenziale alla mia persona; le città che ho visitato col cuore, che ho attraversato come fossero tantissime calli.
Le calli di Venezia: lettera ad una “Signora”
Cara Venezia,
mi sei costata del fiatone a fare tutte quelle scale, e questo non posso negartelo, in un sali e scendi di emozioni, ma ne è valsa la pena: ti sei donata a noi in un giorno di pioggia, quando tutto era incerto, tranne te.
Ci hai fatti camminare con Google Maps a portata di mano, nelle tue calli, così strette e intime, che per passarci in due, qualcuno si doveva fermare, ma anche qua ci hai insegnato che non serve correre, che ci si deve fermare, ci si deve lasciar attraversare dalle persone e dalla natura, dalla bellezza, come fai tu, tutti i giorni dell’anno.
Ho camminato dalla prima alla centesima, e più, isola adagiata sotto di te, impegnate a sorreggerti, a non farti cadere.
Su quegli innumerevoli ponti, ammetto di averci lasciato qualche imprecazione e qualche brandello di scarpa, ma lo sanno anche le signore che erano davanti a noi e che erano così emozionate di fare la tua conoscenza, che parlavano in maniera forte e concitata: bisogna faticare, per vederti a pieno.
Ho visto del calore, in te, nonostante la giornata grigia; del calore che mi si propaga tutt’ora nelle vene e che ha reso tutto così naturale e meraviglioso.
Sei un dedalo di strade, di ponti, di scale, di negozi, che lavorano il vetro e di maschere, così maniacalmente perfette, che al sol guardarle, ci si può immedesimare in ognuna di loro.
Sei una scoperta straordinariamente sana.
Sai, Venezia, abbiamo trovato anche quel tesoro nascosto che tanto tenti di salvare, una delle librerie più belle del mondo: Acqua Alta.
Quest’anno non è stato facile per quest’ultima, ma non credo mollerà così facilmente tutti quei libri che san di polvere, di vissuto, di vecchio e di nuovo, di triste e di ironico: di vita.
Mi sono sentita libera, seppur lo spazio fosse angusto e pieno di gente, per non parlare del gatto vicino alla cassa, che faceva il possibile, a mio dire, per clonare ciò che sei: paziente e intelligente; amorevole e affettuosa; romantica e nascosta.
Sarei voluta rimanere lì, sulla gondola all’interno o sul retro, sui libri accatastati, che formano una scalinata, ciò che tanto ti caratterizza, o semplicemente lì, a parlare con la gente e con te, tutto il tempo, tutta la notte.
Perché parlarci, senza scambiarci più di un saluto, è stato emozionante e, come puoi capire, nonostante il tempo passato, lo è ancora.
Sì, mentre andavo via, per tornare alla stazione e quindi a casa, mi son girata indietro, perché non potevo lasciarti, senza che tu lasciassi davvero me: ora non ho nessun rimpianto, perché tramontando sulla città, mi hai sfiorata il cuore e mi hai detto “Arrivederci, amica mia”.
Arrivederci, Venezia, e alla prossima.
Conclusioni
Se non potreste rimanere estasiati dalla sua forma e sostanza, dalle sue calli strettissime e così intime, e dagli spiazzi che, svoltati gli angoli, si aprono; se non sareste in grado di apprezzarla, lasciatela a chi, invece, ne è in grado, perché quelle bellezze lì, da pelle d’oca, sono rare.